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Un universo parallelo potrebbe
essere generato nel momento in cui ti sembra di aver cambiato il
passato. Immaginiamo che il tempo stesso sia come un albero. I vari
rami mostrano modi differenti in cui gli eventi possono accadere. In
ogni momento noi decidiamo di fare o non fare alcune biforcazioni
temporali, che generano due realtà temporali differenti. Anche se
non ne siamo consapevoli,
Esistono universi paralleli? La domanda è tra le più
“grandi” che siano emerse dalla fisica del ventesimo
secolo, e il dibattito è ancora aperto. Il contributo
più recente viene da due fisici australiani, Howard
Wiseman e Michael Hall, e uno statunitense,
Dirk-André Deckert, con un
articolo pubblicato qualche giorno fa su Physical
Review X.
I tre autori sostengono che sembrerebbe non esserci nulla di sbagliato a immaginare che il nostro universo sia solo uno dei tanti: anzi, in questo modo si potrebbero spiegare alcune caratteristiche particolarmente “spinose” della fisica dei quanti. La
meccanica quantistica non è solo necessaria per spiegare
il comportamento della natura a livello fondamentale:
nella sua versione relativistica è anche la teoria più
comprovata e “di successo” di tutta la fisica. Le
equazioni, insomma, funzionano bene; ma non c’è ancora
consenso su come vadano interpretate. «Dio non gioca a
dadi», commentava per esempio un Albert Einstein
particolarmente scettico sul ruolo apparentemente
fondamentale della probabilità in meccanica quantistica.
Oggi l’interpretazione a molti mondi non gode di
ampio successo, soprattutto per via del suo carattere
fin troppo “bizzarro”: com’è possibile che un universo
si dirami in più universi a mo’ di sliding doors?
In che modo avverrebbe un fenomeno del genere? E
inoltre, che cosa si intende esattamente per
“osservazione” di un sistema quantistico? Se non
osservassimo sistemi quantistici, l’universo non si
diramerebbe? La coscienza umana ha un ruolo nel
moltiplicarsi degli universi? Ognuno di questi universi è caratterizzato da una
fisica squisitamente classica: non c’è distinzione tra
il comportamento della materia a livello macroscopico e
a livello microscopico; in particolare, non esiste
qualcosa come le funzioni d’onda o il principio di
indeterminazione, e le probabilità non sono grandezze
fisiche fondamentali: conoscendo posizione e velocità di
ogni particella, si può stabilire in linea di principio
l’evoluzione fisica dell’universo in maniera
deterministica, come nella meccanica newtoniana. I tre scienziati hanno condotto delle simulazioni a
computer di sistemi quantistici facendo uso del loro
approccio, scoprendo che in questo modo si riesce a
riprodurre alcuni fenomeni eminentemente quantistici
come l’effetto
tunnel, l’energia
del vuoto e l’interferenza
da doppia fenditura. In altre parole, questi eventi
potrebbero avvenire in universi completamente “classici”
nell’ipotesi che questi interagiscano con altri universi
simili secondo l’approccio a molti mondi interagenti.
«La bellezza del nostro approccio – dichiara Wiseman – è
che se c’è un solo universo la nostra teoria si riduce
alla meccanica newtoniana, mentre se c’è un numero
enorme di universi riproduce la meccanica quantistica». Richard Feynman, uno dei più grandi fisici teorici del Novecento, ebbe a dire: «Nessuno capisce la meccanica quantistica». Questo perché nessuno riesce davvero a far propri i concetti più anti-intuitivi di questa teoria: si possono usare per fare predizioni matematiche, ma capirli davvero è un’altro paio di maniche. Con l’approccio a molti mondi interagenti non si è più costretti a capire le stramberie della meccanica quantistica, perché queste si ridurrebbero a “semplici” proprietà emergenti dall’interazione tra i vari universi. Il prezzo da pagare, naturalmente, è presupporre l’esistenza di un gigantesco numero di universi oltre al nostro.
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